Si sveglia da un incubo - UNO E DUE


Si sveglia da un incubo. Mormora qualcosa – mormora Mamma – prima di aprire gli occhi. La fisso, puntellato su un gomito e poggiato su un fianco, mentre le faccio scudo con la schiena. Non siamo nel nostro letto, siamo sdraiati tra l'erba di un parco alberato e ombreggiato, una piccola oasi in cui nessuno viene a riposarsi, perché in pieno luglio si va al mare, non al parco. E noi, al mare, andiamo in inverno.
Sbatte le palpebre. Sulle sue iridi balenano due lamine infuocate di sole che hanno il colore degli alberi e una pennellata di verde si posa per un istante sul nero corvino dei suoi occhi.

Parlavi nel sonno, le dico.
Sognavo di non riuscire a parlare, risponde.
E poi? Che altro hai sognato?
Non so. Era tutto in bianco e nero. C'erano dei fantasmi. E un famoso chef mi costringeva a mettere il burro nella pasta frolla, mentre io volevo usare lo yogurt. Lui insisteva e io ho tentato di chiamare mia madre, per farmi aiutare a mettere lo yogurt. Ma non riuscivo a emettere alcun suono.
Comincio a ridere e rido così forte che il gomito perde il suo equilibrio e io cado di schiena.
Smettila di ridere, mi fa, non è divertente. Sai che il mio sogno ha un fondo di verità.
Certo, esclamo, ad ogni corso di cucina che segui fai impazzire i tuoi insegnanti con le idee più strampalate. E non è facile convincere un pasticcere con quarant'anni di carriera alle spalle a preparare la pasta frolla con lo yogurt.
Si gira su un fianco.
Ma a me il burro non piace, mormora nell'incavo delle braccia.
Il vestito nero a fiori che indossa si alza e svolazza e per un istante sembra prendere vita.

E poi piace anche a te. La pasta frolla con lo yogurt. Dice chiamandomi in causa. La crostata che ho preparato. L'hai mangiata tutta tu!
Perché era la prima crostata degna di nota che hai sfornato.
Prima tentavo di fare la pasta frolla col burro e non mi veniva bene. Il burro non mi piace e le mie mani, mentre impastano, lo sanno.
Sanno cosa?
Che non mi piace il burro. E di conseguenza non piace neanche a loro.
A chi?
Alle mie mani. La smetti con queste domande stupide?

La smetto, non glielo dico, ma lascio vagare lo sguardo tra i rami degli alberi fino a raggiungere il cielo. Il cielo è riposante, se riesci a trovare un angolo di blu non troppo illuminato – e i tuoi occhi diventano immensi, se riesci a cadere e a perderti in un quadrato di azzurro puro.
Lei fa altrettanto. Ma posa una mano sulla mia guancia. Comincia a muovere la mano dal mento agli occhi. E io, che ho la barba di pochi millimetri, ho la sensazione che una scatola di spilli si sia rovesciata sulla mia faccia.
Che fai?
Ti accarezzo.
Mi stai accarezzando contropelo. Mi fai male.
Ah scusa. Credevo di rilassarti.
Fa per togliere la mano, ma gliela rapisco e me la tengo stretta sul petto.

Da domani, sussurra mentre si addormenta di nuovo, da domani seguiamo una dieta di sole insalate.
E perché questa tortura?
Per metterci in forma. Ed entrare nel vestito. Per il matrimonio.
Sicura?
Non mi risponde. Respira pesante. Dico Va bene, ma non prendo sul serio le sue parole pronunciate nel dormiveglia.

Una nuvola entra nel quadrato di cielo che sto fissando e ha la forma di un viso e poi di un animale e man mano assume la forma di quello che io mi aspetto di vedere.

Mi chiedo se si possa vivere sempre così. Sdraiati sull'erba, un cestino da pic-nic con gli avanzi di un pranzo speciale – e con un angolo di crostata con la pasta frolla allo yogurt, perché a noi il burro non piace.
Vivere con gli alberi negli occhi che scandiscono il ritmo di una giornata che non ha tempo – e noi siamo senza tempo.

Mi chiedo se si possa vivere sempre così. Come se ci fossimo appena svegliati da un incubo, nell'attimo esatto in cui capiamo che era solo un incubo e che siamo nel nostro letto, vicino a qualcuno a cui ci stringiamo – un piccolo fagotto di gambe e braccia chiuse nell'attesa di cancellare dalla pelle gli ultimi brividi del brutto sogno.

Mi chiedo se si possa vivere così. Guardando il cielo, immaginando l'universo che si nasconde dietro e facendo progetti senza farli per davvero.
Vivere un istante di vita su un prato – e una mano stretta sul petto – come se fosse un solo eterno istante fatto di due pelli e due cuori e due teste che immaginano e pensano, nello stesso momento, la stessa cosa.  


Short Story by ©Veronica Mondelli - Tutti i diritti riservati
Immagine: Gustav Klimt, Amanti, (1896?)
Soundtrack: Foo Fighters, I am a River

Commenti

Maria D'Asaro ha detto…
Ogni volta è un'emozione leggerti. E' una sferzata di aria pura, di cielo azzurro ... "Mi chiedo se si possa vivere così. Guardando il cielo, immaginando l'universo che si nasconde dietro e facendo progetti senza farli per davvero. Vivere un istante di vita su un prato – e una mano stretta sul petto " Grazie di queste magiche parole. Buona estate.
Veronica ha detto…
Cara Maria, ti ringrazio infinitamente. Segui questa storia tutti i mesi e per me è meraviglioso condividerla con una persona sensibile come te. Non ho molto tempo per scrivere o seguire assiduamente altri blog, ma il piccolo spazio di Uno e Due, come dici tu, è per me una boccata d'aria fresca. Grazie ancora.
Vele Ivy ha detto…
Ci sono degli attimi in cui si vorrebbe rimanere sempre immobili, perché si è raggiunta un'improvvisa e perfetta serenità da cui è difficile staccarsi. Sono attimi felici e tristi insieme, perché siamo consapevoli che non dureranno mai per sempre. E tu hai reso tutto ciò in maniera toccante con questo racconto.
Veronica ha detto…
Grazie Vele, hai colto perfettamente la nota malinconica nascosta dietro i momenti felici, purtroppo fugaci. Per questo mi piace fermarli scrivendo. Ancora grazie, un abbraccio!