Song'e Napule - Festival Internazionale del Film di Roma

I Manetti Bros sono l'anello mancante tra il cinema di genere più insipido e il cinema d'autore. Anzi, vanno oltre la dicotomia: perché si dilettano con i generi, ma sono anche autori. Ed è questo che dà anima al Cinema. I due fratelli spuntano al Festival fuori concorso, con un film che ha attirato fiumi di spettatori, memori di quel piccolo grande capolavoro horror-rap di Zora la Vampira e dei lavori più recenti, come quelli dietro L'Ispettore Coliandro. L'idea da cui partono è semplice. Napoli: la squadra anti-crimine capeggiata dal Commissario Cammarota cerca da anni il latitante Serracane. Si presenta l'occasione di catturarlo durante un matrimonio tra figli di camorristi, celebrato in una sorta di villa bunker. Si decide, così, di infiltrare un poliziotto inesperto ma che sa suonare bene il piano. E, no, il poliziotto-pianista Paco Stillo (Alessandro Roja) non deve eseguire armoniose melodie di musica classica: deve suonare la tastiera a fianco dell'idolo melodico napoletano di turno, il carismatico e un po' tamarro - ma pieno di cuore - Lollo Love (Giampaolo Morelli). Inizia così il "teatro" di Paco Stillo, timido e impacciato, che deve prima infiltrarsi nella band di Lollo Love - con lo pseudonimo atomico di Pino Dinamite - e poi nella villa durante il matrimonio. 

I Manetti Bros hanno calibrato tutto alla perfezione: sceneggiatura priva di buchi, perfettamente logica e fluida; dialoghi geniali dal ritmo vincente, tanto che la risata scatta sempre nei momenti giusti; le battute comiche non scadono mai nel banale o nel volgare, ma la comicità si mantiene sempre molto elegante. E poi, la scelta del cast: su tutti spiccano Alessandro Roja e quella vera bomba di Giampaolo Morelli. Paco Stillo è forse uno dei migliori personaggi visti nel recente cinema italiano. E non si esagera: è stato costruito da manuale, basti vedere la crescita a cui va incontro e al modo perfettamente credibile in cui cambia - dal poliziottino raccomandato, occhialuto e con i capelli fuori moda, all'infiltrato sempre un po' impacciato, ma poi in grado di adattarsi al ruolo e, grazie ad esso, di crescere, sia come persona che come poliziotto. È come dire: grazie alla finzione si migliora. In questo caso è verissimo. Non è solo il personaggio a crescere, è anche Roja a modificare in modo opportuno la sua interpretazione nel corso del film. L'attore recita soprattutto con gli occhi e questo non è affatto facile. 


Morelli non sbaglia una battuta, un'intonazione, uno sguardo o un gesto. Alla sua prima apparizione come Lollo Love, Giampaolo Morelli appare irriconoscibile: e saper trasformare il proprio aspetto in nome del ruolo da interpretare è quanto di più difficile e apprezzabile ci sia. Anche il resto dei comprimari è di tutto rispetto. Se ne citi uno su tutti: un insospettabile Peppe Servillo non ha nulla da invidiare al fratello Toni.

L'elemento vincente, che rende il film ad un tempo di genere e d'autore, è la capacità di far apparire tutto universale ed esportabile. Napoli non è Napoli e basta. Bella e terribile, solare e malinconica, Napoli è se stessa ma è anche una città qualsiasi, perché ci viene mostrata con uno sguardo intelligente: quello che permette di usare gli stereotipi e allo stesso tempo di scardinarli. In questo modo non si generalizza, i pregiudizi decadono e ogni spettatore, dal milanese al romano al palermitano, riesce ad identificarsi nella città e a vedere in essa qualcosa della propria. 
I Manetti Bros non sbagliano davvero un colpo. Costruiscono un film con evidenti omaggi ai poliziotteschi degli anni Settanta, si dilettano con effetti speciali esagerati e divertenti, costruiscono gli spazi in maniera impeccabile - la scena dell'inseguimento nella villa è davvero ben realizzato - ma, soprattutto, riflettono sul film. I Manetti, in qualche modo, sono autoriflessivi, gestiscono alla perfezione le regole di genere ma, allo stesso tempo, le smontano e ce le mostrano, facendo cadere la quarta parete: e questo è ciò che fanno solo gli Autori con la A maiuscola.

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