Una lettera per Momo


Titolo originale: Momo e no tegami - Anno: 2011 - Nazionalità: Giappone - Genere: Drammatico - Regia, soggetto e sceneggiatura: Hiroyuki Okiura

Momo è poco più di una bambina ma ha già dovuto sopportare tutto il dolore del mondo: ha perso il papà in un naufragio e si è dovuta trasferire con la giovane mamma sull'isola di Shio, lontana da Tokyo. Momo si porta dentro un rimorso incontrollato: l'ultima volta che ha visto il padre lo ha preso a male parole, gli ha detto di detestarlo, gli ha augurato di non tornare più. Tutto per una promessa non mantenuta. Momo, però, porta dentro anche una minuscola speranza: dopo il funerale del padre, ha trovato nel suo studio una lettera incompleta, che recita solo “Cara Momo”.
Momo conserva quella lettera gelosamente, cercando di completare le righe rimaste bianche e di immaginare cosa il padre avrebbe voluto dirle.



Ma sull'isola di Shio, la ragazzina andrà incontro ad un'avventura inaspettata. Ci sono tre demoni guardiani, Iwa, Kawa e Mame, brutti e un po' tonti, che la seguono e la controllano: il loro compito è quello di vegliare su Momo e la sua mamma, per poi fare rapporto sulle loro condizioni “ai piani alti”, direttamente al papà.
Iwa, Kawa e Mame sono folli, mangioni e cleptomani, impossibile, per Momo, rimanere impassibile di fronte ai tre simpatici demoni.

Momo, così, si trova improvvisamente a crescere: non solo per il dolore causato dalla morte del papà. Cresce perché inizia a confrontarsi con il dolore composto della sua mamma, che sorride sempre e cerca di comprimere dentro nevrosi e paure, compresa la sua malattia cronica, l'asma. La mamma va avanti senza cedere mai, ma nasconde in un mobile un album pieno di fotografie che ama guardare quando è sola.



La trama di questo film non rende giustizia. Perché è una trama che può dare un'idea: e, invece, il film è totalmente l'opposto. Una lettera per Momo, per quanto doloroso e a tratti straziante sia, è un continuo inno alla vita. Il dolore non si respira mai effettivamente: rimaniamo sempre abbagliati dalla bellezza dell'ambiente, delle case, dei personaggi che circondano Momo e dalla maniacale cura per i dettagli. Sì, è vero, qui si parla di sentimenti importanti, di una ferita che non si può rimarginare, di una bambina che tenta di tutto pur di parlare ancora una volta con il papà: eppure il monito è quello di lasciarsi trasportare dalla vista mozzafiato del mare dalle alture di Shio, di farsi venire l'acquolina in bocca di fronte agli ortaggi raccolti col sudore della fronte, di rilassarsi nel bagno di quelle antiche casette di legno, tutte rumori attutiti e sguardo appagato. Il mondo di Momo è popolato innanzitutto da gente semplice e affascinante, da bambini che si divertono a tuffarsi da un ponte, da tazze piene di tè, dalla pioggia che picchietta sugli alberi, sulle case, sui massi, sui piccoli luoghi di culto lungo i sentieri di montagna. Ci si lascia trasportare dalla nobile semplicità della cerimonia delle barche di paglia, condotte al mare dalle spalle possenti dei papà del villaggio.

E Momo di certo non lo dimentica il dolore, quello sta sempre lì. Impara però a staccarsi dai ricordi e a vivere una nuova vita. In fondo, si trova a Shio e non più a Tokyo per un motivo molto importante: a Shio il mare è avvolgente e il papà di Momo amava il mare tanto da trovarvi la morte. Era uno studioso delle profondità marine: che altro fare se non portare il ricordo di un papà/marito scomparso anzitempo di fronte all'elemento che più lo rappresenta?

Questo potrebbe essere catalogato come film fantasy, in verità la volontà dell'autore sembra essere quella di ricondurre tutto alla realtà, seppur passando attraverso il soprannaturale e la fantasia. In fondo, i tre demoni possono essere visti solo da Momo. Come possiamo sapere se Iwa, Kawa e Mame siano davvero reali o se siano una proiezione fantastica di Momo, che magari ha inventato i tre esseri per proteggersi dalle difficoltà della vita?



Al di là di questo, è molto facile poter rintracciare nel cinema d'animazione giapponese il contrasto tra la fantasia più sfrenata e la realtà; anche prendendo i film di Miyazaki (e in particolare Il mio vicino Totoro, a cui Una lettera per Momo sembra ispirarsi), è facile poter intravedere questo aspetto: esaltare la realtà che viviamo – dai cibi, agli arredi, ai gesti, alle piante, al mare – attraverso il suo substrato fantastico.
Anzi, pare che la distinzione tra realtà e mito non sussista. Noi occidentali tendiamo a vedere l'aldilà o il mondo degli spiriti o l'universo soprannaturale come qualcosa di metafisico, un luogo oltre ogni ragionevole e realistico pensiero. Invece, certi aspetti della cultura giapponese sembrano dirci che l'aldilà è già qua, che la metafisica è nel mondo fisico, che il mondo delle idee è il mondo delle cose. Sono solo due lati della stessa medaglia, ma tutto il fantastico vive nella realtà. Basta saperlo vedere, come fa Momo. Quando lo si sa vedere e si sa vedere non oltre il mondo ma dentro il mondo, allora la vita assume aspetti più interessanti, fantasiosi e fantastici, senza dover evadere da una realtà che qui mai è prigione ma sempre luogo sconfinato e ricco di possibilità.



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